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Iura Propria: gli statuti a stampa (1475-1799) della Biblioteca di Scienze sociali

Gli statuti della città di Lucca

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Gli statuti della città di Lucca (1539)

Lucca
Gli statuti della città di Lucca nuovamente corretti. Et con molta diligentia stampati.
Coloph.: in Lucca, di dinari dello commune di Lucca per Giovambattista Phaello bolognese, 1539 addì 26 di agosto.
In fol.

Berlan 60; C1890 6 (130); CRSS IV, 124-126; BEGA I.1, 34; LdS 65; Osler I, 1191; Statuti toscani 129.

Sempre dall’autorità politica fu disposto il volgarizzamento dello statuto del 1539 poiché «ha giudicato el magnifico generale consiglio del populo, e commune di Lucca, cosa honorevole, & utile, che le sue municipali leggi, a publico bene, dalla (……) latina lingua da pochi intesa, nella volgare, & nativa toscana più commune, & universale tradotte siano, accioché non siano li suoi cittadini ignoranti della ragione, nella quale conversano, e dalla quale governati sono, sperando che non per cavillare, ma per bene, et honestamente secondo quelle vivere, studiate siano, et così essorta» [A gli lettori, c. 1 v.]. Dell’opera di traduzione fu incaricato Tobia Sirti, il cui nome però per sua precisa scelta non compare nel volume: «non curerò da questi che vivono adesso, & liquali mi conoscano, essere biasimato, provederò bene che il medesimo far non possino quelli che da poi noi verranno, non ponendo in alcuna parte dellopera el nome mio» (c. 333 v.). Due sono infatti i motivi di biasimo che il traduttore paventa e che esprime in calce allo statuto nella nota Il traduttore allo sp. officio degli statuti, & agli altri cittadini (c. 333 v.): l’aver tradotto lo statuto nella lingua dell’uso parlato e non «in quella studiata, & polita toscana, laquale hoggi mai da cotante osservanze, & regole ristretta la veggiamo, che non più lingua dal natio terreno data alla provincia, ma una scienza fatta pare, & io per me non so come quella così perfetta & limata, volgare chiamar si possa, poi che veggiamo che il volgo così non la favella. Oltra che nella materia delle leggi havere non si debbe riguardo all’ornamento del parlare, ma solamente considerare importa el puro significato, & la sustanza delle parole»; e poi «non havere possuto soddisfare a quegli, che desideravono chio ponessi in ultimo, a parte del volume, una dichiaratione di molti vocaboli sparsi per gli statuti, i quali per essere termini & vocaboli proprii della scienza legale, non hanno volgare vocabolo che gli confaccia, né chiarire si possono se non per longo circuito di parole, el che non ho possuto fare parte per la strettezza del tempo, & parte anchora acciò che non troppo crescesse il volume». Da queste parole risultano in negativo i criteri che il Sirti osservò nella traduzione delle norme.

C-6-131. Esemplare mutilo del colophon.



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